SEQUENZA CALDAICA PLANETARIA - Angelo Angelini – Kemi Hathor – 1984

Il simbolismo settenario non si riferisce solo ai pianeti ma anche ai livelli energetici del corpo. Lo testimonia la favola caldaica della «Discesa di Ishtar agli Inferi».
Quando ci si avvicina agli studi alchimici, si possono incontrare difficoltà dovute alla mancanza di potere di astrazione e di sintesi nei riguardi dello stretto simbolismo attraverso cui si esprime il linguaggio alchimia. Nel momento in cui si tenta di tradurre in parole i simboli, essi perdono la loro efficacia ed il loro valore.
Comunque, di tutto il vasto campo ermetico costituito da glifi e segni (che, come ho scritto nel mio editoriale precedente, hanno il potere di rivelare l’essenza delle cose nel loro doppio aspetto, fenomenico e noumenico), la rappresentazione delle Sette Forze che reggono la manifestazione è forse la più semplice da tradurre in termini correnti. Essa è la base di tutte le mitologie, di tutte le religioni, di tutte le vecchie filosofie, sotto qualsiasi parallelo siano sorte, in modo da costituire il leitmotiv ricorrente delle letterature antiche.
Il Sette appare nei templi di Egitto, sulle pareti delle mastabe, mentre la sua eco si ripercuote in Mesopotamia, in India, e il suo simbolismo si trasmette di filosofia in filosofia, nei sette cerchi concentrici che Platone descrive nel suo X Libro della Repubblica, il cui movimento viene affidato alle tre Moire. La manifestazione scorre e si propone, nella sua veste policromo, con la cadenza del Sette, ed il suo simbolismo diventa il modo con cui si possono rappresentare i vari eventi che esistono in Natura. Dalle pagine di questa rivista avevo già fatto notare, in precedenza, come la cadenza dei Sette governi il mondo atomico elementare, nei mutui aspetti di interazione tra i vari individui chimici, sia per quanto riguarda la valenza, sia il volume atomico, e come il Sette sia alla base della classificazione dei solidi geometrici secondo cui cristallizzano i minerali che formano la crosta terrestre. Ma il Sette non si osserva soltanto nello scheletro che sostiene le grosse impalcature della manifestazione in genere. Esso è realmente alla base di ogni fenomeno, disponendo in sequenze diverse i suoi singoli componenti, secondo il fenomeno o l’ente interessato. Già sappiamo che il simbolismo adottato per illustrare i vari componenti del Sette è quello planetario, ove i singoli glifi non vogliono rappresentare i pianeti fisici in questione, bensì sottintendono un particolare aspetto, o forza, della Sostanza Unica che è alla base della manifestazione. L’aver assegnato al pianeta celeste designato dal corrispondente glifo la funzione preminente di dispositore degli atteggiamenti e destini del nostro mondo sublunare è stato il più grosso errore dell’attuale Astrologia (che si dichiara scientifica) la quale, non afferrando il profondo senso nascosto del simbolo in questione, si è cacciata in un ginepraio di supposizioni pseudo-scientifiche che non hanno alcun aggancio con la realtà.
Quando i nostri padri parlavano di Saturno e Giove, non facevano riferimento ai pianeti che bene conoscevano ed osservavano nel loro lento rivoluire in cielo, bensì intendevano parlare di quelle forze primordiali di cui la Sostanza, in quel momento, ne assumeva l’aspetto. Per cui Saturno diveniva la forza di coagulazione, di costrizione, di ripiegamento su sé stesso e, come inizio del Tempo, delimitava le linee difficilmente valicabili entro cui si dovevano svolgere i destini dell’ente nello spazio-tempo, verso il compimento della forma e dell’azione. Sotto questo aspetto, ed in questa prospettiva, la particolarità della Sostanza Una veniva illustrata come una deità con il suo corredo di qualità, buone o cattive, in modo da mostrare, sotto il velo della poesia, le proprietà peculiari, afferrabili più con il cuore che con il cervello. Ogni ente, quindi, nella sua manifestazione, pur essendo uno, e un aspetto particolare della Sostanza Una, nella sua costituzione è settuplice. Le sequenze con le quali, nella sua rappresentazione, si susseguono i simboli planetari, mostrano la sua genesi. Mostrano cioè le modalità e le vie percorse per entrare in manifestazione, il suo collocamento nell’economia generale rispetto agli altri enti, le sue finalità e le possibilità attraverso le quali può entrare in stretto contatto con gli altri fenomeni e le modalità della sua liberazione, ovvero la strada che deve percorrere per svestire la forma. La conoscenza di queste sequenze planetarie, per classi di componenti o per ogni singolo componente della manifestazione, costituisce una parte del vasto sapere alchimico, che si traduce nei termini correnti di metallurgia alchimica, di spagiria vegetale, di gemmoterapia, di palingenesi; in altre parole, della conoscenza di quel corpus magicum, così mal compreso e plagiato e che costituisce l’obiettivo contro cui puntano i sarcasmi della nostra scienza ufficiale. D’altra parte le conoscenze che possediamo e le possibilità che abbiamo realizzato in campo metallurgico sono tutte di derivazione alchimica, ed i nostri padri, pur non possedendo gli attuali sistemi di controllo, hanno ottenuto ottimo oro ed argento, hanno forgiato il ferro e si sono sbizzarriti in un numero impressionante di leghe (quali l’electrum) sulla base della conoscenza della sequenza planetaria del materiale in questione ! Non solo ottenendo il metallo puro, o le sue leghe, ma donandogli proprietà taumaturgiche e particolari di cui oggi non sospettiamo nemmeno l’esistenza. Sulla base della sequenza planetaria si è sviluppata la spagiria, la cui eco molto fievole si avverte nei residui delle culture contadine, in cui la manipolazione erboristica nel trattamento delle malattie umane presenta tavolta del miracoloso. Le sequenze planetarie hanno costituito, per il passato, un rigorisissimo segreto da non divulgare. Solo la sequenza planetaria umana, nel susseguirsi dei suoi singoli componenti, è stata tolta dallo scrigno fin dalla più alta antichità. La nostra scienza medica ha riportato alla luce questa sequenza nel mettere a fuoco l’ultima spiaggia su cui si infrange questa analogia planetaria: il sistema endocrino umano, con la sua ricca produzione ormonale che si riversa nel sangue in un circuito chiuso.
Il sistema endocrino, nella sua sequenza discendente, è costituito da: epifisi-ipofisi-tiroide-cuore (in cui tutto si riversa e si accentra) — surrenali — isole di Langherhans (pancreas) — gonadi.
Gli antichi avevano velato questa sequenza nella serie:
Saturno-Giove-Marte-Sole-Venere-Mercurio-Luna
e per le corrispondenze esistenti tra sistema ormonale e simbolismo planetario, rimando a quanto ha scritto, esaurientemente, il Gentili (“Aurora Consurgens” – “Il Volo dei Sette Ibis”).
Davanti a questa sequenza di pianeti, la nostra filologia ha creduto ravvisarvi la concezione astronomica che gli antichi avevano del cielo e del nostro sistema solare, e l’ha ritenuto opportuno classificarlo come tale, senza supporre che essa fosse la rappresentazione simbolica dell’uomo, e soprattutto delle forze che lo sorreggono. Costituzione che è risultata esatta dagli attuali studi della fisiologia, e via palingenetica da seguire, se rappresentata ed integrata con altre sequenze di altri fenomeni, quali per esempio la serie planetaria con cui è costituita la luce.
Il simbolismo planetario umano fu sempre ricordato come sequenza planetaria caldaica, non tanto perché professato dai Caldei e dagli abitanti del Tigri e dell’Eufrate, ma assegnando al termine caldeo il suo vero significato etimologico di saggio. Quindi essa può anche chiamarsi la sequenza planetaria dei saggi, di coloro che conoscono e che di conseguenza sanno muoversi ed agire a ragion veduta nel mondo fenomenico.
Storicamente la sequenza caldaica compare tremila anni prima di Cristo ad Uruk, la biblica Erek (oggi Warka), vicina all’Eufrate, la città sacra ad Manna summerica, ad Isthar, la Venere Celeste che chiese ad Anu, al Cielo, la potestà di poter regolare le Forze Divine.
Dal poemetto babilonese l’Ascesa di Isthar sappiamo che Manna ottiene da Anu, il Cielo (Urano), il dominio, la divina essenza e la Corona. La dea ottiene quanto richiesto da Anu mentre è ubriaco, ma quando il Cielo ritorna in sé, rivuole indietro i suoi doni. Manna si sottrae, portando i regali ad Uruk, la città ove essa è adorata.
Il senso di questo poemetto è fin troppo trasparente: il Cielo può essere conquistato solo passando attraverso Manna, Venere, che detiene le chiavi ed i mezzi per poter percorrere la via dell’ascesi. Per quanto riguarda la sequenza caldaica, compare di nuovo sotto il nome di Manna, o Isthar, nel celebre poemetto intitolato la Discesa di Isthar agli Inferi, di chiaro contenuto palingenetico. Sebbene Manna sia Signore del «Grande Sopra», vuole poter governare anche il «Grande Sotto», gli inferi, il regno del sublimale, perciò si appresta a discendere all’Ade per vedere come sia possibile raggiungere il suo intento. Per far questo indossa la sua veste regale, si adorna dei suoi gioielli, in modo da presentarsi alla dea degli inferi, sua sorella maggiore Ereshkigal. Nel suo viaggio, Manna deve attraversare sette porte, e ad ogni porta deve lasciare un gioiello ed un capo personale. Alla fine, varcata l’ultima porta, completamente denudata, è trascinata in ginocchio davanti ad Ereshkigal e ai terribili sette giudici che, fissandola con il loro sguardo di morte, la riducono un cadavere. Essa può risorgere a vita, dopo tre giorni e tre notti, quando viene versato sul suo corpo il «cibo della vita» e l’«acqua della vita». Questa discesa di chiaro carattere iniziatico, prelude alla purificazione alchimica dei sette metalli, di epoca medioevale, ovvero delle Sette forze, espressioni della Sostanza, che nel racconto sumerico sono chiaramente localizzate nei sette centri endocrinici, luogo ove sono posti i gioielli. Infatti manna alla prima porta deve lasciare la corona shuqurra, la corona della pianura, caratterizzazione dell’epifisi, del Saturno astrologico. Alla seconda porta pone in mano al guardiano i fermagli che fissano i ricci dei capelli alla fronte, simbolo dell’ipofisi, il Giove astrologico. Alla terza porta si sveste delle piccole pietre di lapislazzuli che gli cingono il collo, la collana, caratterizzazione della tiroide, Marte. Alla quarta porta pone il pettorale, formato dalle due pietre nunuz, fermate al centro del petto, sede del cuore, simbolo del Sole. Alla quinta porta Manna si deve svestire della cintura che le cinge i lombi, cintura tutta d’oro, caratterizzazione della Venere astrologica, delle surrenali. Alla sesta porta le viene tolto il pendaglio che, scendendo dai lombi, cade sul grembo, simbolo del Mercurio astrologico, la sezione endocrina del pancreas, ed infine alla settima ed ultima porta toglie la veste pala, simbolo della signoria e nello stesso tempo della Luna, le gonadi, che permettono che la forza, o le forze, si rivestano di una forma e prendano corpo.
Il mito di Manna propone, quindi, la sequenza planetaria:
Saturno Corona Epifisi Giove Fermagli dei ricci Ipofisi Marte Collana Tiroide Sole Pietre nunuz Cuore Venere Cintura Surrenali Mercurio Fasciatura grembo Pancreas Luna Veste Gonadi
Quando tre giorni e tre notti dopo il suo cadavere viene spalmato dal kurgarru con il «cibo della vita» e dal kalaturru con l’«acqua della vita», essa risorge, e ripassando dalle sette porte, si riappropria dei capi personali che aveva dovuto abbandonare nella discesa. Oltre alla settuplice sequenza planetaria umana, l’antichità ha velato altre sequenze sotto simbolismi diversi, come la celebre serie platonica descritta nel X Libro della Repubblica, ove, tenuti fermi i primi tre simboli planetari, il centro della sequenza viene rappresentato da Mercurio, seguito da Venere, Sole e Luna. Evidentemente Platone, in questo contesto, non vuole dare una rappresentazione della costituzione del cosmo, di carattere personale o peggio fantastica, come comunemente si crede, ma indica un particolare iter in cui vengono interessate le settuplici forze. Ma di questo avremo modo di parlarne in seguito. Ciò che interessa ora è indicare come nelle sequenze planetarie il primo termine, che in genere è Saturno, è l’elemento coagulante, la propulsione verso la cristallizzazione, il passaggio dal noumeno al fenomeno, il Caino che offre a Dio «Gli esseri che sorgono dal mare delle manifestazioni».
Il termine di mezzo della serie è il punto centrale coordinatore, e la meta finale evolutiva verso cui tende l’ente, e nel caso dell’uomo, il cuore, l’Intelligenza del Cuore. Il termine ultimo è l’elemento riproduttivo, ciò che dà la veste e le modalità attraverso cui l’ente entra in manifestazione. Per l’uomo sono le sue, condizioni riproduttive che avvengono per mezzo e nell’acqua, Luna, ma altresì è il primo passo che deve essere compiuto, dagli organi e dalle forze che sono interessate per una evoluzione verso la sommità della sequenza, Secondo quanto dicono gli Indù: la risalita di Kundalini dal loto a due petali al loto di mille petali, ovvero la percorrenza da Luna a Saturno, lungo la linea dei solstizi, come avrebbe detto Paracelso o l’ascesa lungo il palum, per incontrare il patibulum nel segno della croce, secondo l’esoterismo cristiano templare.
Naturopata: Marco Busatto - Fonte: Rivista - Kemi-Hathor - articolo del 1984
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